ISTRIANI E DALMATI ALLA BATTAGLIA DI LEPANTO E LE LORO BELLE INSEGNE

particolare del bel dipinto raffigurante lo scontro, nella villa Barbarigo di Noventa Vicentina. edificio bellissimo custodito con amore dai cittadini attuali.

particolare del bel dipinto raffigurante lo scontro, nella villa Barbarigo di Noventa Vicentina..

Aloise Cipice da Traù, comito della galea n. 39 dell’ala destra: per insegna “una donna con un mozzo di serpe in mano”.

Giovanni de Dominis comito del legno di Arbe, posta al n. 40 dell’ala destra: “San Giovanni con la Croce in mano”.

Cristoforo Lulich, comandante la galea di Sebenico, n. 22 della retroguardia: “San Giorgio a cavallo”.

Girolamo Bisante da Cattaro comito della galea n. 10 del corno destro : “San Trifone con una città in mano”.

Giovanni Lanzi da Lesina, galea n. 24 del corno sinistro: “San Girolamo”.

Domenico di Tacco istriano comito della nave n. 15 del corno sinistro: “Un lion con una mosca”.

Colane Drazzo di Cherso comito della galea n. 8: “Nicolò la corona”.

Perasto “fedelissima” era presente con i gonfalonieri stretti attorno al gonfalone della nave ammiraglia della Serenissima. Erano dodici e otto di essi immolarono la propria vita in difesa della Patria veneta comune e della cristianità.

galea dei bergamaschi a Lepanto

galea dei bergamaschi a Lepanto

LAUS DEO

Tratto da un lavoro di Paolo Borsetto.

Biblioteca marciana misc. 207733.

LA BATTAGLIA DI LEPANTO E L’EX VOTO NEL DUOMO DI MONTAGNANA

il dipinto si trova sulla parete sinistra e misura mt. 4 per 4,50

 Chi visita Montagnana, non deve perdersi, specie se vi si reca a ottobre, la visione del grande dipinto conservato nel Duomo, che riproduce in maniera molto fedele lo svolgersi della famosa battaglia.

Il pittore è anonimo, anche se vi sono indizi, o meglio, sospetti, sul nome, ed è comunque certo che fu dipinto poco dopo i fatti da persona che si fece raccontare in dettaglio tutto, anche la particolare forma delle imbarcazioni. riporto quì di seguito al descrizione trovata in internet, ma voglio aggiungere che ci farebbe bene ripercorrere quelle vicende, di tanto in tanto.

Si scopre una coralità  incredibile, attorno alla fede cristiana e attorno allo stato veneto: Montagnana si autotassò e oltre alle vite dei propri figli che si arruolarono volontariamente per la salvezza della cristianità e per quella dello stato veneto, offrì grandissime quantità di lino e canapa, prodotti del luogo, per fabbricare corde e tele.

Vedete, ogni tanto salta fuori qualche “bella anima” di storico tricolorista, il quale non manca di sottolineae l’incosistenza dello stato marchesco, un conglomerato di città riottose, sotto il tallone della “Dominante”. nulla di più falso. Dalla guerra di Cambray, a Lepanto. alle rivolte dei “marcolini” nel 1797, al discorso di Perasto, è tutto un continua affettuosa testimonianza di affetto filiale alla Patria Veneta e al suo Principe, il doge dei veneti da parte della popolazione intera.

ecco quanto scrive  Zereich Princivalle:

“Il quadro che riproduce la Battaglia di Lepanto (m. 4,50 x 4,50), ad olio su tela, appeso alla parete sinistra nella prima campata – già sopra la porta laterale rivolta a mezzogiorno – a prescindere dal suo valore artistico, fu giudicato assai interessante da Guido Antonio Quarti, ben noto scrittore di storia navale, che lo pubblicò per primo, credo, quale opera di ignoto autore in uno dei suoi volumi.

Egli, scrivendo al Giacomelli, rilevava che il pittore doveva avere una notevole conoscenza storica della battaglia, che è riprodotta, come realmente avvenne, con le galee in combattimento a gruppi.

“In primo piano è la flotta di Venezia al comando di Sebastiano Venier; più sopra quella di Spagna sotto Don Giovanni d’Austria. Un gruppo centrale riproduce il ricupero della capitana di Malta. E’ ben distinta a destra la fuga di Portaù pascià (barchetta che si salva attraverso le galee).

Sopra, a sinistra, la squadra di soccorso del march. di Santa Croce. Poi il particolare di Occhialì (Uluzzalì) che fugge dopo essersi affrontato con Giovanni Andrea Doria, riparadosi con poche galee alla Prevesa. In alto, a destra, è Lepanto con i due Castelli alla bocca del golfo; a sinistra, su nuvola, la Madonna del Rosario con Santa Giustina.

Il pittore doveva avere perfetta conoscenza dei fatti, perchè è anche da notare che tutte le galee cristiane hanno le vele ammainate; il mare è abbonacciato in favore delle armi crocesegnate; sono esatte le varie bandiere con i colori di raggruppamento e con gli stemmi particolari. Interessanti per l’archeologia navale sono le strutture delle galee, con la dimostrazione, non chiara altrove, dei banchi da rematori sporgenti dai fianchi delle stesse.

Il nostro quadro sembrerebbe appartenere ad un pittore, formatosi appunto in tale ambiente; e verrebbe da pensare ad Antonio Vassilacchi, detto l’Aliense (1556 – 1629), figlio di un proprietario di navi, oriundo dell’isola di Milo, che fornì di vettovaglie l’armata cristiana nella querra del 1571, il quale dipinse per Montagnana anche un’altra tela “Il Salvatore e i Santi Protettori” ed amò trattare varie composizioni affollate di personaggi e diversi soggetti di battaglie terrestri e navali, compresa pure quella di Lepanto, come ad esempio negli affreschi – attribuitagli dalla Boccassini – della villa Barbarigo di Noventa Vicentina, presso Montagnana”.

di Zereich Princivalle

SEBASTIANO VENIER RINGRAZIA LA MADONNA, UN DIPINTO A VICENZA

62059_1591300913103_3471481_nMatteo Marcolin ha scovato questo dipinto, e a pensarci bene.. oggi sarebbe impossibile, ringraziare la Madonna per una vittoria sull’Islam, mentre per loro, al contrario, lo è ogni volta che compiono una strage.
Il Venier ringrazia la Madonna per la Vittoria a Lepanto
el Venier ringrazia ea madonna par la vittoria a
lepanto .
Vicenza cappella delRosario, chiesa di Santa Croce .

FEDE, INTRAPRENDENZA, CORAGGIO, RAPPRESENTATI DA SAN MARCO. LEPANTO E… LE CAMPANE

Di Annamaria Deoni

13406763_1039687389419120_4147326229332651778_nQUANDO FEDE, INTRAPRENDENZA, CORAGGIO ED INNOVAZIONE DANNO VITA AD UNA RITUALITA’ CONSOLIDATA, QUASI SCONTATA E AD ESEMPI ANCOR OGGI ATTUALISSIMI. ECCO PERCHE’ LA GRANDEZZA DELLA SERENISSIMA REPUBBLICA DI SAN MARCO NON PUO’ ESSERE DIMENTICATA.

La battaglia di Lepanto e i suoi retroscena ben sintetizzano e rappresentano ciò che il titolo introduce.
Il 7 ottobre ricorre la festa della Madonna del Rosario, istituita nel 1572 per celebrare il primo anniversario della Battaglia di Lepanto, cioè la vittoria dei cristiani sui musulmani. Papa Pio V (1566-1572) attribuì il merito all’intercessione della Madonna e in Sua devozione istituì la festa dedicata alla ” Beata Vergine della Vittoria”.

Non poté celebrarla poiché morì il 1° maggio 1572, ma il suo successore, papa Gregorio XIII (1572-1585), accolse questa eredità, seppur intitolandola alla “Madonna del Rosario”, ciò per spronare i credenti alla recita collettiva del Rosario, ritenuta l’arma più efficace per spingere i cristiani alla vittoria. La Battaglia di Lepanto ebbe luogo la domenica del 7 ottobre 1571.

Quel giorno, mentre si combatteva nel golfo di Patrasso, presso Lepanto, si narra che a Roma il Papa avesse una visione ed esclamasse “sono le 12, suonate le campane, abbiamo vinto a Lepanto per intercessione della Vergine Santissima”. Da allora è così subentrato l’uso di suonare ogni giorno le campane allo scoccare del mezzogiorno. La Notizia della vittoria arrivò a Roma 23 giorni dopo, confermando quella visione.13435345_1039687172752475_5513499009995661392_n

Questa la dimensione religiosa, ma oggi ben sappiamo che fu la terza Lega Santa (Stato Pontificio, Venezia, Genova, Spagna, Savoia e Malta) che con coraggio e strategia rese possibile questa epocale vittoria. La flotta cristiana era formata da circa duecento Galee di cui centocinque erano Veneziane, più le sei Galeazze, con al comando il Capitano da Mar Sebastiano Venier.

Allora, come non nominare la Serenissima Repubblica di San Marco e il suo straordinario Arsenale, organizzato come una fabbrica moderna dall’innovativa catena di montaggio? Ricordiamo che qualche anno dopo, il 20 luglio 1574, sotto gli occhi stupiti di Enrico III di Valois, re di Francia e Polonia, in un solo giorno, venne assemblata una Galea, corredata di cordami, armature, vele, remi e armamento!13435329_1039687486085777_3917358443582446860_n

Dal complesso delle sue officine, uscivano navi complete fra le quali anche le poderose Galeazze. Queste imponenti imbarcazioni, poco conosciute per la segretezza con cui vennero progettate e costruite, (si trova cenno in documenti conservati nell’Archivio di Stato di Venezia) erano ritenute altamente strategiche dal Governo della Serenissima: grazie alle artiglierie dislocate sulle robuste fiancate, cambiarono per sempre il metodo di combattimento in mare. L’aumentata potenza di fuoco, l’adeguata mobilità, sia a remi che a vela, unite ad un ottima protezione e ad equipaggi qualificati, permisero di sostenere il cruento confronto che inflisse al nemico Turco numerosissime perdite, risultando in questo modo il principale elemento che favorì la grande vittoria cristiana di Lepanto. 13450236_1039687259419133_1963830185031176467_n

Al grido di “Duri i banchi!” i Comandanti delle Galee Veneziane incitavano i propri equipaggi approcciandosi al combattimento. Voleva essere un avvertimento e un’esortazione a sopportare ciò che sarebbe accaduto nell’accesa lotta che ne seguiva; ancora oggi per i Veneti è un saluto di incoraggiamento ad affrontare i duri problemi esistenziali. Facciamone tesoro.
(Annamaria Deoni)
Sintesi da una ricerca in rete.

GLI EROI DELLA PATRIA VENETA. AGOSTINO BARBARIGO, gli ultimi istanti a Lepanto.

551649_4466152942607_817381163_nIntorno alla galea del Barbarigo, attaccata dalla squadra di Bascià Scirocco, “otto galee di San Marco affondarono, parecchie altre furono catturate, e il Barbarigo, colpito mortalmente da una freccia nell’occhio dritto, mentre discostava lo scudo dalla faccia per concitare i combattenti, cadde sul ponte, ma subito con supremo sforzo alzatosi, vincendo lo strazio, continuò a combattere con eroica costanza. Lasciato poi il governo della galea a Federico Nani e sceso nella sua camera, trasse con una mano il ferro dalla fronte, e quando ebbe certe le notizie che le armi cristiane trionfavano alzò le mani al cielo in atto di ringraziamento e si addormentò nei sogni della gloria, con la fama di primo combattente della battaglia. ..
Federico Nani e il Silvio Conte di Porcia, sulla galea del Barbarigo, con meraviglioso ardore respinsero il nemico già salito sul cassero, molti facendoli cader riversi, mentre nello stesso lato, Giovanni Contarini prendeva la galea di Scirocco e troncava la testa al terribile corsaro.

da “La battaglia di Lepanto” di Pompeo Molmenti.

LA GALEA DI CAPODISTRIA “LIONA CON MAZZA” A LEPANTO.

Gianclaudio De Angelini

302927_2320418862730_134527897_nNel 1571 prese parte alla battaglia di Lepanto nella flotta del doge Mocenigo, una galea di Capodistria al comando di Domenico del Tacco con l’insegna “liona con mazza“ (tuttora conservata). Il sopracomito capodistriano morì in seguito alle ferite riportate, ma nella sua città, “spettatrice non oziosa nel gaudio universale del mondo cristiano”, a ricordo della battaglia vittoriosa combattuta contro il Turco nel giorno di Santa Giustina, fu eretta una colonna che prese il nome della santa. Dalla vela col sole raggiante, che è lo stemma di Capodistria, questa sembrerebbe proprio la Galea dello sfortunato ed eroico Domenico del Tacco

LO STRAORDINARIO SLANCIO DELLA TERRAFERMA NELLA GUERRA CONTRO IL TURCO A LEPANTO.

UN COLLANTE COMUNE: LA FEDE IN CRISTO, piaccia o non piaccia a noi moderni, gli stati, anche quello veneto, si reggevano sulla Fede cristiana.

420966_3140494721980_759986986_nDopo la guerra di Cambray, in cui le masse dei contadini e dei cittadini della Terraferma si erano schierate con la Dominante, riconoscendo in essa la propria Patria, “Venezia non ebbe più alcun motivo di dubitare dell’apporto che le poteva venire in caso di guerra dalle comunità e dagli individui in Terraferma, anche se persisteva una traccia dell’idea che Venezia fosse soltanto “prima inter pares” – un’idea che anzi risultava sottolineata nelle rinnovate cerimonie di dedizione del periodo successivo al 1509.

La generale reazione alla minaccia turca del 1570 può essere considerata come una sintesi dei termini del rapporto tra governanti e governati. Solo il 25 marzo il senato riconobbe lo stato di guerra aperta, ma già dalla metà del mese la convinzione che il conflitto fosse inevitabile aveva diffuso nella Terraferma i primi sintomi della febbre da guerra.

Il 18 marzo il consiglio municipale di Padova promise di armare tre galere e di inviare all’esercito “100 zentilhomeni” e altrettanti soldati semplici a spese di ciascuno di essi e della municipalità. Lo stesso giorno Verona…si offrì di pagare 500 fanti per sei mesi all’anno per tutta la durata delle ostilità.

Altre offerte seguirono: la paga per mille fanti di terraferma da Brescia, per 400 per sei mesi da Treviso, una quantità non meglio specificata di cavalli, fanti e denari da Vicenza. Il 30 marzo arrivò un’offerta di 10.000 ducati da Bergamo che, pur lamentando la propria povertà a causa della carestia, si dichiarava decisa ad aiutare la Signoria in questa “ingiustissima guerra mossa per mar et per terra dal grande Ottomano Imperator de’ Turchi, crudelissimo nemico et persecutore della religion nostra christiana”.

Vi furono anche offerte d’aiuto collettive, dei castellani del Friuli, ad esempio, o dal Collegio dei notai di Treviso. Le offerte complessive delle comunità ammontarono a più di 100.000 ducati, più la paga per 2.200 fanti.

Da L’Organizzazione militare di Venezia nel ‘500 di Sir J. Hale ed. Jouvence.

“LE CERNIDE BRESSANE” A LEPANTO. Una grande vittoria con l’apporto di tutti.

404911_3402218384908_707114229_n (1)Dell’impiego delle cernide bresciane in fatti d’arme restano scarse testimonianze. La Repubblica Veneta ricorre ai militi inquadrati nelle ordinanze per fronteggiare i Turchi. I bresciani, come scriveva nella relazione il capitano Marco Antonio De Mula, nel 1546, “per invero bella gente, pur indocili a portar l’armi, a camminar in ordinanza, all’esser obbedienti, al conoscer il suono del tamburo”, erano pronti a menar le mani quando necessario, combattendo per difendere le fortezze della Serenissima a Cipro, Creta, Rodi. Continua a leggere

LA MERAVIGLIOSA STORIA DI PERASTO, FEDELISSIMA AL LEONE e il suo governo particolare.

notizie raccolte da Dan Morel Danilovich, sunto tratto da “Archivio storico per la Dalmazia”, 1941, Arnolfo Bacotich.

Perasto

12189533_505761262918365_167409582385069658_nAl centro di questa tormentata regione, nella parte più interna delle Bocche di Cattaro, sorge una piccola cittadina, Perasto, la quale trae il suo nome dalla romana Civitas Pirustarum. La storia di questa cittadina, così ricca di memorie care ai Veneziani, si perde per lunghi tratti nell’ombra dei secoli. Di Perasto abbiamo qualche sbiadita notizia verso il 1158, al tempo delle discordie sorte tra gli abitanti di Cattaro, Ragusa, Dulcigno, e Perasto, fino a quando, sul finire del medioevo, essa apparve come una collettività con forme e ordinamenti comunali. Taluni storici asseriscono che dal 1160 al 1365 Perasto dipendesse da Cattaro, nel cui territorio era situata, e che nel 1365, mentre Cattaro passava all’Ungheria, Perasto unisse invece il suo destino a quello della Repubblica di Venezia. Questo invece dimostrerebbe che, al contrario, Perasto autonoma, era libera di seguire un destino diverso da Cattaro. Continua a leggere

LA FEDE , IN DIO, E NELL’INDIPENDENZA DELLA PATRIA VENETA.

Di Millo Bozzolan
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il “bisante” moneta di Famagosta, con la scritta – venetorum fides inviolabilis –

Poco tempo fa un illustre (illustre sia per nobiltà d’animo che per scienza) amico di facebook mi confidava, pur essendo veneto e veneziano, pur amando la sua storia, di non poter credere nell’indipendenza perché trovava tale obbiettivo “anacronistico”.
Questa mattina mi è venuto l’impulso di rispondergli, invitandolo prima di tutto, a riflettere sulla Fede, dono del Signore che lui possiede in abbondanza e che me lo fa particolarmente caro:

“Credo quia absurdum”, recitava Tertulliano, e certamente è l’atteggiamento dei puri di cuore, di quelli che non si pongono domande, e credendo e basta, rendono possibili i miracoli. Ebbene, la Fede, che tanto distinse i Veneti nei secoli scorsi, è stata il motore che li ha aiutati a percorrere la strada loro assegnata e a sopravvivere a guerre, invasioni e perdite di indipendenza. Questo sentimento era strettamente connesso alla Fede nella Patria cristiana, messa sotto la protezione di un Evangelista, comprendeva un senso di fiducia in Dio anche per le sorti della Patria veneta, malgrado difficoltà e momenti difficili, vivo anche contro ogni logica (ricordo Agnadello, ad esempio). La Speranza, altra virtù cristiana, non poteva morire.
Una grande prova di quanto scrivo la troviamo stampata in una moneta, “il bisante” di Famagosta, fatto coniare da Marc’Antonio Bragadin, quando si addensavano nubi minacciose intorno alla sua isola. “VENETORUM FIDES INVIOLABILIS”. A quella Fede si appellarono quei grandi eroi, tra cui vi erano nobili cretesi, veneziani, ma anche popolani di ogni genere, come l’ultima prostituta o carrettiere della città, quando si immolarono sugli spalti. Anche se il loro sacrificio non portò alla vittoria immediata, permise la vittoria finale, sfiancando il nemico e dando tempo all’Occidente di organizzare la Lega. la Fede in Dio e nella Patria che lo rappresenta non ti promette un ritorno immediato, anche se è lecito sperarvi, ma ti permette di metterti alla prova e di testimoniare col tuo esempio
Ecco quindi che la Fede nella Patria veneta, risorta non per caso tra il popolo (i puri di spirito dei Vangeli) prima che tra la classe dirigente locale, rende possibile sperare nel miracolo, al di là di ogni calcolo o logica, poiché “la Fede smuove le montagne” ed io penso che questo succederà. Basta crederci, basta volerlo e confidare in Dio, come una volta. Dio ci ha creati Veneti, e come Veneti dobbiamo essere liberi di continuare a vivere. Basta solo recuperare la Fede.