I MILLE ANNI DEGLI ANTICHI VENETI

Università degli Studi di Padova

cavallookVenetkens: così, quattro secoli prima di Cristo, scrivevano il proprio nome i popoli che vivevano nelle terre racchiuse fra Po, Mincio, Garda, Adige e Alpi. Usavano una scrittura spigolosa, derivata dai simboli etruschi e adattata alla loro lingua; quelle lettere ricoprono lastre e cippi in pietra, foglie di metallo, ossa, vasi. Ritornano incise sugli aklon, grossi ciottoli fluviali di porfido, enigmatici testimoni di un popolo che abitava un territorio vasto ed eterogeneo, ma unito da una matrice culturale comune, declinata secondo moduli diversi nella piana centrale, nelle valli del Delta, nei boschi del Cadore. Un popolo, quello dei Veneti antichi, che abitava queste terre già un millennio prima di Cristo, e al quale la mitologia classica attribuiva un’origine eroica, legata all’eredità dei guerrieri approdati qui dopo la caduta di Troia.

Staccandosi dal mito e basandosi su evidenze archeologiche consolidate, la mostra Venetkens. Viaggio nella terra dei Veneti antichi sottolinea anche il contributo degli apporti culturali esterni  nella definizione delle radici più remote della civiltà veneta. Ispirazione greca, apporto etrusco, influssi egizi e affinità col mondo celtico si sovrappongono a un distintivo processo di formazione locale della civiltà paleoveneta, nucleo centrale della mostra di Padova. L’obiettivo è quello di presentare un quadro completo e aggiornato attraverso un viaggio cronogeografico per oggetti, un percorso dagli albori della civiltà all’arrivo dei Romani, dal Po alle Alpi, narrato attraverso la testimonianza di quasi duemila manufatti provenienti da oltre cinquanta musei prestatori.urna_bambina

Collane d’ambra, monili; un uomo e una donna abbracciati a formare un pendaglio. E poi scodelle, boccali, olle, bicchieri, coppe e un vaso dall’imprevista linea a stivale. Armi e strumenti di lavoro emersi dalle acque del Piave e del Sile, che hanno restituito oggi doni rituali di tremila anni fa. Luoghi sacri, i fiumi erano anche elementi di confine e di collegamento, acque solcate dalle imbarcazioni, convogliate, sfruttate, temute, dalle quali dipendeva la vita dei campi e del bestiame, il lavoro nelle fornaci. Lungo le loro rive si svolgevano i riti di morte, simboleggiati dall’urna di bambina contenuta nella situla Benvenuti. Un grande vaso coperto, capolavoro di artigiani poeti che sulla lamina di bronzo cantano gli uomini e la loro vita: prigionieri, atleti, un uomo col cane al guinzaglio, libagioni, il principe sul trono, il cavallo sacrificato. Accanto, altre situle raccontano storie diverse, diventando testi su cui leggere un mondo lontano e assieme quotidiano, fatto di cortei, banchetti, battaglie, amplessi nuziali, agoni sportivi, cerimonie sacre.

tomba_cavalloQuella descritta dall’iconografia veneta è una realtà indissolubilmente legata al sacro, nel quale il santuario è tutt’uno con la natura; luogo di preghiera, d’invocazione di un pantheon di  divinità, ma anche luogo di commercio e scambio, sede delle scuole di scrittura frequentate da donne e uomini. In questo spazio, gli uomini donavano se stessi, o i loro simulacri: bronzetti raffiguranti donne, bambini, guerrieri, artigiani, ma anche cavalli, dotati di un ruolo di primo piano nella cultura paleoveneta. Famosi per l’abilità nella corsa, a essi venivano riservati spazi di sepoltura privilegiati, talora affiancati a quelli delle famiglie più importanti. Così accade nel grande tumulo funerario padovano del VI secolo a.C: in una tomba, un cavallo coricato sul fianco accoglie nel proprio ventre lo scheletro di un giovane uomo rannicchiato, forse vittima di un sacrificio rituale. Uomo e cavallo, accomunati e resi pari, abitano una città dei morti che, illuminata dalle pire funebri, si stacca dalla città: poderosi cippi lapidei indicano il confine fra necropoli e centro abitato. Spazi diversi e non invertibili sono assegnati alle case di terra e pietra, ai laboratori e ai campi, rispetto alle zone in cui raggruppamenti di tombe formano tumuli recintati. In essi sono deposti fratelli e sorelle, coppie, genitori e figli, assieme ai propri ornamenti, insegne di rango che descrivevano la loro vita passata e insieme raccontavano il mondo che li circondava.

Chiara Mezzalira

 

CELTI E VENETI, CHI SOMIGLIA A CHI ? STEFANO GAMBATO PROPONE INTERESSANTI RIFLESSIONI

2dsmp0hlA RIFLESSIONE DI STEFANO dopo aver letto l’articolo https://venetostoria.com/2015/10/09/i-veneti-antichi-e-lintegrazione-dei-celti-foresti-2/ . Caro Stefano, valeva la pena darti uno spazio a parte 🙂

Se non erro, il personaggio in questione, autore della Stele di Isola Vicentina, (tale Iats) era della tribù dei Laion, forse di origine più Retica che Celtica, ma tant’è. Il mio appunto, riguarda il modo di descrivere i Veneti in rapporto ai Celti, di cui, nel celebre passo, si dice “poi vengono i Veneti che hanno usi ecc. ecc.”.

Analizzando lo scritto, si evince che per prima cosa, lo scrittore parla di popolazioni a partire dalle sorgenti del Po’, questo il motivo per cui antepone i Celti ai Veneti, ma ragionando sui costumi, intesi come abiti, vediamo chi assomiglia a chi. I Veneti erano presenti sul territorio( teoria secondo la soprintendenza dei beni archeologici), almeno dal IX° sec a.C.,i Celti come invasione, appaiono circa 500 anni dopo.526927_10200093009718687_1414596914_n

I Veneti avevano dunque un abbigliamento adatto a una vita stanziale, i Celti invece arrivando in migrazione, usavano un abbigliamento più adatto a una popolazione di nomadi, quali erano in quel momento storico. Questo di capisce dalle immagini dell’arte delle Situle per quanto riguarda i Veneti, e le immagini dei Romani per quanto riguarda i Celti. È logico supporre che i Celti, una volta invasa buona parte d’italia, abbiamo usato un abbigliamento più adatto al nuovo tipo di vita.

Per quanto riguarda l’integrazione, penso sia logico supporre che se arriva un individuo o una famiglia o un piccolo clan, sia possibile integrarla nel proprio popolo, come accadde per Iats “della stele” altra cosa accade se “i foresti” sono così numerosi da mettere a rischio la sopravvivenza dei padroni di casa, nel qual caso era guerra, e qualcuno la perdeva, ne è testimonianza la distruzione da parte dei Celti della dodecapoli etrusca della pianura padana.a1b79b8352e7854eb4b0e6c1f115a235

È strano pensare per me, che il ricchissimo territorio della Venetia, dove “le botti di vino sono più grandi delle case e il bestiame figlia due volte l’anno” sia sfuggito alle mire degli invasori, ergo, penso che questa terra abbia sempre avuto il nome di Venetia e mai Gallia, solo grazie alla difesa armata dei propri abitanti. Arriviamo dunque alla stele di Isola Vicentina, non è un’offerta a una divinità ne un cippo di confine, cos’è dunque?

È semplicemente la commemorazione da parte di un individuo(Iats) che celebra con questo monumento il fatto di essere stato accettato dai Veneti, perché entrare a far parte di certe culture era importante, al pari delle guerre sociali combattute da popolazioni italiche per avere la cittadinanza romana…successivamente la “Pax Romana” sistemo’ diverse cose, fino ad esempio un tale Caius Giulio Cesare il cui esercito aveva come nerbo Celti e Veneti assieme…

I LUOGHI SEGRETI DEL VENETO, IL LAGO DI FIMON NEL VICENTINO

LAGO DI FIMON – ARCUGNANO ( VICENZA – VENETO )

13331032_1730002897255673_5762716469006487967_nBuon giovedì a tutti amici, oggi ci spostiamo ad Arcugnano, vicino Vicenza, per far visita al lago di Fimon. La segnalazione ci viene data dalla nostra nuova collaboratrice Elisa Ravagnani che ci ha fornito parte del materiale fotografico.

Il lago di Fimon è uno specchio d’acqua di modeste dimensioni ( 0,60 km quadrati ) e poco profondo ( circa 2 m) che si trova in comune di Arcugnano, tra le frazioni di Pianezze e Lapio. È l’unico lago di dimensioni significative dell’intera provincia.13336142_1730002827255680_6920990269667514503_n

I dintorni del lago sono anche un sito archeologico, la cui importanza fu riconosciuta già nel XIX secolo dal naturalista vicentino Paolo Lioy.

Il lago è d’interesse turistico, specie nella bella stagione, in cui diviene meta ideale per gite fuori porta da parte della popolazione del territorio vicentino. Nelle sue vicinanze sono presenti un bar ( che si trova direttamente affacciato sul lungolago ) e due pizzerie. Nelle acque del lago viene praticata la pesca sportiva, anche con l’utilizzo di barche, per le quali è disponibile un punto noleggio.13346426_1730002900589006_571243276228685683_n

ARCHEOLOGIA
L’interesse archeologico della zona di Fimon è dovuto al ritrovamento di resti di insediamenti risalenti ad almeno due epoche differenti: uno al neolitico ed uno all’età del bronzo.

I resti risalenti al neolitico presumibilmente si possono ricondurre alla fase antica della cultura dei vasi a bocca quadrata. Le datazioni al radiocarbonio dei resti li collocano alla prima metà del IV millennio a.C.13346561_1730003183922311_6075670203591112299_n

Il ritrovamento principale è costituito dai resti di capanne con focolare che riposa su strutture orizzontali di pali incrociati. Sono stati ritrovati focolari costituiti di blocchi di calcare ricoperti d’argilla e limo, di forma quadrata o circolare.
Nei pressi di tali strutture sono stati rinvenuti pali piantati verticalmente, che in un primo tempo avevano fatto pensare ad un abitato palafitticolo.

I legni utilizzati sono abbondanti nella zona vicina al lago; principalmente ontano, frassino, faggio e acero. Si suppone che la scelta, preponderante, dell’ontano fosse dovuta alla sua maggiore resistenza in ambienti umidi.
La parte aerea delle capanne non è stata rinvenuta, fatta eccezione per qualche pezzo d’intonaco lisciato da un lato e recante impronte di rami d’albero dall’altro.13346698_1730002997255663_3290411868418283394_n

Si può supporre che le piante delle capanne fossero rettangolari.

Nei pressi dell’insediamento sono stati rinvenuti conchiglie, ossa d’animali ( tra cui mammiferi, pesci e tartarughe ), semi carbonizzati, strumenti di pietra e d’osso, cocci e qualche sparuto oggetto ornamentale.13346954_1730002970588999_3018454296877170897_n

Nel luogo giaceva sepolto un ragazzo di dieci – dodici anni, assieme a ceramica del tipo di quella ritrovata all’interno dell’insediamento. La datazione al carbonio 14 tuttavia sembra indicare per i resti del fanciullo un’età maggiore di quella delle capanne, essendo queste di circa 200 anni più recenti.13419275_1730002967255666_7510454210435109337_n

Gli strumenti di selce a scheggiatura laminare, principalmente di dimensioni grandi, sono stati ritrovati in quantità: grattatoi, punte foliate, bulini, perforatori, lame ritoccate; asce spesse di forma allungata ( più comuni ) e asce corte più sottili ( più rare ), un pezzo di scalpello, dei pestelli ed una macina. Alcuni strumenti recavano resti di mastice, presumibilmente utilizzato per immanicare lame e altri utensili su aste di legno. Un ritrovamento particolarmente significativo è costituito da una freccia di selce con punta peduncolata e asta lignea.13423790_1730003010588995_2459341676285033545_n

Sono stati rinvenuti anche punteruoli e spatole d’osso, zagaglie d’osso e oggetti ricavati a partire da corna di cervo, presumibilmente percussori.

La ceramica fine rinvenuta consta di scodelle profonde a bocca circolare o quadrata e vasi ad alto piede ( talora decorati con motivi geometrici ), vasi e bicchieri a bocca quadrata e a fiasco, scodelle a bocca circolare ( talora decorate con piccoli lobi sopraelevati sul bordo ). La ceramica grossolana consta invece di vasi a bocca quadrata, a fiasco e a tronco di cono, grandi vasi profondi.

È da notare che alcuni vasi portano sul fondo l’impronta delle stuoie sulle quali presumibilmente poggiavano in fase di realizzazione.

I ritrovamenti in questo caso non sono numerosi e si limitano a due metatarsi di lepre forati e cinque denti umani forati e limati.

Ecco un video del Lago di Fimon:

https://www.youtube.com/watch?v=W9VhDM5FZT8

Direi che come meta è da tenere sicuramente in considerazione.

RINGRAZIAMO ELISA RAVAGNANI PER LA CORTESE SEGNALAZIONE E PER LE SPLENDIDE FOTO FATTECI PERVENIRE.

DA https://www.facebook.com/I-meravigliosi-luoghi-segreti-del-Tri-Veneto-1420474544875178/?fref=photo

IL DIO BELENO, CARO AI CELTI, MA ANCHE AI VENETI DI AQUILEIA E DI BELLUNO

vieille-religion-belenos_med_hrBeleno ha avuto una grande influenza anche tra i Veneti che, nel sincretismo proprio al mondo pagano, lo avevano adottato e riverito, tanto che ne troviamo il riflesso nel toponimo della città, e di conseguenza in val Belluna e Montebelluna.  Il nome si riferiva al concetto di “lucente” e per conseguenza, richiamava all’idea del fiorire delle messi, e alla fertilità.

Altra traccia la troviamo nella lingua ligure, in cui il termine “belìn” si riferisce a “coglione” in senso scherzoso o spregiativo.  E’ anche l’equivalente del Dio Apollo, dio solare, e veniva rappresentato con la testa incoronata da raggi.

La festa di Beleno, Beltane.

belenus_med_hrÈ una delle quattro feste dell’anno celtico e si tiene il primo di maggio. Significa letteralmente “fuoco di Bel”,  è una festa ricca di simbolismi solari e ignei, segna l’inizio del ciclo diurno e solare, il momento in cui il bestiame si avvia al pascolo. È anche un rito sacerdotale della massima importanza, in cui il re supremo d’Irlanda riaccendeva il fuoco sacro insieme ai suoi druidi e che veniva festeggiata con giochi e banchetti.

Esiste un profondo legame tra Aquileia (Veneta) e il culto di Beleno, tanto che si può affermare che questa doveva essere la principale divinità aquileiese. Tra l’altro Aquileia non era nuova a sincretismi culturali, data la sua posizione chiave – fin dall’epoca preistorica – nel crocevia tra l’area altoadriatica ed il mondo norico, retico, pannonico, danubiano. 964a6faa1a7f5b1cd8b4e92f077f6b3b

Beleno si schiera con gli aquileiesi e promette vittoria

Nel 238 d.C. i soldati dell’imperatore Massimino cingono d’assedio Aquileia: la città è stremata ma non cede, ecco il racconto di Erodiano: “Questo si diceva del resto all’inizio della guerra: che [gli aquileiesi] erano rimasti fedeli perché dentro la città c’erano molti che si occupavano dell’altare del sacrificio ed erano esperti di lettura del fegato, e annunciavano i sacri auspici; gli italiani infatti credono moltissimo in questo tipo di indagine. E diversi responsi dicevano che il dio protettore della terra prometteva la vittoria. Chiamano questo [dio] Beleno, e lo venerano grandemente; pretendendo che sia Apollo. Dicevano alcuni dei soldati di Massimino che la sua immagine era apparsa spesso nell’aria combattendo sopra la città”.

Un’altra fonte riporta una versione simile: “Assediando dunque Aquileia, Massimino mandò ambasciatori in quella città: ai quali il popolo forse avrebbe dato retta, se non si fossero opposti Menofilio e l’altro console, dicendo anche che il dio Beleno per bocca degli aruspici aveva risposto che Massimino doveva essere sconfitto. Per cui si dice che anche dopo i soldati di Massimino si vantavano che Apollo doveva aver preso le armi contro di loro, e che quella non era stata la vittoria di Massimo o del senato, ma la vittoria degli dèi”.

Il culto di Beleno pare attestato sino al VI d.C. in area aquileiese. E’ un dio legato all’acqua e al tema della rinascita: e il culto in area aquileiese di San Giovanni Battista, attestato anteriormente all’anno 390, può forse essere considerato una derivazione sincretistica di quello del dio celtico.

Il culto del dio Beleno era da secoli il fulcro della religiosità dei Karni, assieme ad un nutrito pantheon di divinità che sempre hanno contraddistinto la vita mistica dei popoli celtici.

Nel 297 d.C. Diocleziano e Massimiano, soggiornarono ad Aquileia ed offrirono dediche al dio Beleno: la presenza degli Augusti segna l’ultimo atto di venerazione a Beleno, in antitesi al cristianesimo ed in omaggio al culto tradizionale. Il dio solare Beleno diventa BeliBelenus_3ugustus, il nume tutelare di Aquileia. (Non si tratta di un caso raro: nell’olimpo di Roma trovarono posto gli dei egiziani ed etruschi).

Chiesa di San Martino alla Beligna

A quasi due chilometri a sud di Aquileia, sul lato sinistro della strada che porta a Grado, su di una leggera ma vasta altura ritenuta antico cordone litoraneo (ma da recenti indagini è risultata duna sabbiosa di origine fluviale – probabilmente afferente all’antico Isonzo-Torre-Natisone) denominata Alt di Beligna, sorgeva l’abbazia di S.Martino.  Il toponimo Beligna è in evidente relazione alla nota divinità indigena celtica .

 

L’IMPRONTA DEI VENETI… ANCHE NELLA FONDAZIONE DI ROMA – PARE CHE ABBIAMO PRESO PARTE AL CRIMINE. :D

Tempo fa accennai all’apporto venetico o veneto antico (come ben scrive la Decapuis, è giusto chiamare Veneti anche i nostri antenati) alla fondazione di Roma. Suscitai ironie e dissensi da parte di un esule istriano chepreferisce, ancor oggi, considerarsi discendente di antichi coloni “latini” civilizzatori dell’Istria e della Dalmazia, e non vantare una propria storia antica autonoma. Sui gusti non si discute, però ritengo utile produrre oggi la fonte illustre della mia nota di allora: è Giacomo Devoto, grande storico della lingua italiana (e latina). Del resto è noto che nella Sabinia antica vi era una tribù di Venetulani e che i nostri antenati con ogni probabilità ( ne parla sempre il Devoto nel paragrafo precedente, arrivarono sino a Milazzo (località Venetico) per insediare una base commerciale, alla pari come egli scrive “di vichinghi ante litteram, sulle loro navi”.

basi delle antiche capanne delal Roma primordiale. Tra i latini vi era gente con cultura simile alla nostra di origine venetica.

basi delle antiche capanne delal Roma primordiale. Tra i latini vi era gente con cultura simile alla nostra di origine venetica.

ORIGINI TRIPARTITE DI ROMA.
Paragrafo 38 cap. X
Storia della lingua italiana di Giacomo Devoto.

Nella metà dell’VIII sec. A.C. l’Etruria non rappresenta ancora la forza irradiante, e Roma è ben lontana dall’essere una metropoli: è solo un “Ponte”, un ponte che è condizione all’Etruria e al suo inserimento nei commerci anche per via di terra. Se allora non siamo obbligati a tener conto dell’Etruria come elemento e forza costitutiva della Roma delle origini, ecco che il problema si apre ed insieme si semplifica, tenendo conto della “tripartizione” (Livio, IV, 7) che dà un’impronta alle origini di Roma così dal punto di vista storiografico come da quello archeologico e linguistico.

tomba Benvenuti. tombe villanoviane sono state rinvenute nella zona del foro italico.

tomba Benvenuti. tombe villanoviane sono state rinvenute nella zona del foro italico.

Sul piano storiografico, le tre tribù primitive ricordate da Varrone L.L. V 55, L.L. V 89 dei “Tities, Ramnes, Luceres”, anche se da lui sentite come nome etrusco, possono essere ricondotte sul piano etnico storico con i valori rispettivi dei Protosabini (diversi dai Sabini del V sec. A.C.), dei Protolatini, connessi agli insediamenti dei Colli albani, e dei Nord italici, filtrati attraverso la diffusione terrestre degli antichi protovillanoviani. Accanto a questa tripartizione giuridica ed etnica si manifesta la tripartizione archeologica, attraverso el necropoli dell’Esquilino, collegata, secondo dià il Duhn (Corpus glossorum latinorum) ed il Mac Iver, con la civiltà del ferro adriatica, che risponderebbe ai Tities protosabini; le capanne del Palatino, collegate con le tombe a fossa dei dei colli Albani, e perciò sul piano dei Ramni, e dei Protolatini in senso stretto, infine gli incineritori del foro romano che consentono solo connessioni settentrionali, e quindi vanno collegati con la nozione giuridica dei Luceres e quella etnico storica dei Nord-italici.
Un piacevole parallelo di tripartizione linguistica è dato dalle sopravvivenze della radice REUDH “Rosso”. Il tipo RUTILUS con il trattamento T da DH è protolatino e documentato sino in Sicilia;
il tipo RUBRO con la consonante sonora al posto della sonora aspirata, all’interno della parola, è di tipo venetico cioè nord italico; il tipo RUFUS …è di tipo osco-umbro e cioè (proto)sabino.

LE ABITAZIONI DEI PALEO VENETI DI MEL, TUTTI CASA E… BOTTEGA. LA CHIAVE DI TRICHIANA

Di Alexia Nascimbene (www.archeoagordo.it)

p027_1_04Fino al 1995 non si sapeva nulla dell’abitato di Mel e della sua ubicazione che già di per sé costituisce un dato parlante. La struttura era in gran parte distrutta dai lavori agricoli ancora di parecchi anni fa, ma sono stati trovati, oltre a tre brevi tratti di muro, una canaletta di drenaggio che si collegava con una vaschetta in lastre di pietra, tanto che in un primo momento gli archeologi avevano pensato di trovarsi di fronte ad una tomba. Dentro la cassetta c’era un grande dolio di ceramica, un grande contenitore di derrate alimentari vuoto, ma la cassetta era comunicante con la canaletta di drenaggio e quindi questo voleva dire che c’era un impianto idrico e in associazione con questa situazione sono state trovate delle scorie metalliche. Tutto questo insieme ci fa pesare che ci troviamo di fronte ad una casa laboratorio: probabilmente in questa casetta veniva lavorato il bronzo.download

    Questo ritrovamento ha permesso di localizzare la posizione del villaggio rispetto alla necropoli e questo è già molto perché per altro del Bellunese noi conosciamo le necropoli e non i villaggi, un po’ diversamente da quello che è il rapporto degli abitati d’altura vicentini e veronesi, prealpini occidentali, dove invece abbiamo una sessantina di villaggi conosciuti con le strutture abitative la tipologia edilizia delle case, il materiale di uso quotidiano, ma non le necropoli di cui abbiamo dati sporadici molto scarsi, cosa che ci mette in difficoltà per interpretare correttamente la complessità dei sistemi territoriali.MuseoArcheologicoMel

    Un altro dato fondamentale che ha fornito il ritrovamento dell’abitazione dì Mel è quello sulla tipologia edilizia adottata in queste zone: è una tipologia di casa o di casa – laboratorio molto simile a quella degli abitati vicentini o veronesi che a loro volta usano le case utilizzate dai Reti: case seminterrate con muri a secco in pietra. Diversamente dagli abitati di pianura che usano materiale deperibile per le abitazioni, qui troviamo la pietra e questo ci porta ad avere una notevole difformità documentaria. Le case di città come Este, Padova, Oderzo, Vicenza, Concordia, che dalla piena età del Ferro sono dei veri e propri centri urbani dato che hanno l’ortogonalità dell’impianto urbanistico fra strade, canali di scolo e case, hanno delle case costruite con legno, argilla ecc. per cui di queste case che in alcuni casi forse potevano essere assimilate ai palazzi di cui si parla per l’Etruria, ci rimane pochissimo. Dei villaggi di altura che certamente non erano città ed avevano un’estensione limitata abbiamo la pianta delle case e le superfici e in alcuni casi possiamo anche ipotizzare delle tramezzature, l’articolazione interna dello spazio, la possibile ricostruzione del tetto. Delle case di pianura ci rimangono invece solo piani pavimentali e buche di palo che ci danno gli allineamenti, ma non molto dì più. La casa di Mel assomiglia quindi alle case degli abitati veneti d’altura e quindi per mediazione alle case dei Reti.

    q-fig-17Uno dei rinvenimenti più significativi per il flusso di traffici che attesta è il rinvenimento della chiave del monte Nenz di Trichiana (1992-93). Su segnalazione è stata infatti rinvenuta una chiave di bronzo databile con una certa sicurezza alla seconda metà del VII sec. a.C., in un contesto che ci fa capire come la sua destinazione fosse votiva, cultuale. La chiave nell’antichità è infatti spesso tra i materiali legati ai santuari proprio per il suo significato simbolico e come dono e offerta votiva- La chiave di Trichiana è un oggetto di grande prestigio, sia per la grandezza e la quantità di metallo impiegata, sia perché non è un oggetto locale ma viene sicuramente dall’area a Nord delle Alpi, halstattiana.  Questo oggetto ha almeno due significati importanti:download (1)

1. testimonia una provenienza sicura e quindi conferma il fatto che la valle del Piave veicola e convoglia su di sé materiali provenienti da ambiti diversi; quest’oggetto apre un capitolo nuovo sul valore cultuale di questa valle, di come cioè gli antichi tendessero a localizzare lungo questa vallata alcuni luoghi di particolare importanza dal punto di vista religioso.

2. Tra il VII e il VI sec. a.C. si assiste ad un fiorire di insediamenti e presenze e questo certamente corrisponde al fatto che centri di pianura, Este e Padova in particolare, hanno una dimensione ormai pienamente e politicamente urbana e che quindi il controllo territoriale e dei traffici commerciali diventa per loro un fattore vitale.

IL SACRIFICIO UMANO NEL CULTO DEI CELTI

Il sacrificio umano fu praticato anche dai paleo Veneti, ma in misura molto ridotta. Conosciamo solo una tomba in cui fu rinvenuto un cavallo sacrificato col suo stalliere, nella periferia di Padova, mentre presso i Celti era pratica comune.  Ecco le testimonianze storiche:

Per dare un’ idea, ora, della crudezza della pratica sacrifica presso i Celti, rifacciamoci a tre autori romani. Nell’ ordine, Cesare, Strabone e Diodoro Siculo.
Cesare, nel De Bello Gallico (VI,16), scrive:feticci-umanoidi-sacrifical
<<I Galli sono molto dediti alle pratiche religiose, perciò quelli che sono gravemente ammalati o si trovano in guerra o in pericolo, fanno sacrifici umani o fanno voto di immolarne e si servono dei druidi come esecutori di questi sacrifici: essi credono infatti che gli dei immortali non possono essere soddisfatti se non si dà loro, in cambio della vita di un uomo, la vita di un altro uomo; fanno perciò anche sacrifici ufficiali di questo genere. Certe popolazioni costruiscono statue enormi, fatte di vimini intrecciati, che riempiono di uomini vivi ed incendiano, facendoli morire
tra e fiamme. Credono che cosa più gradita agli dei sia il sacrificio di coloro che sono sorpresi a rubare, rapinare o commettere qualche altro delitto; ma quando mancano costoro, sacrificano anche degli innocenti>>.Gundestrup-C2

Strabone (Geogr. IV, 5), scrive:

<<I Romani posero fine a queste usanze, nonché ai sacrifici e alle pratiche divinatorie contrastanti con le nostre istituzioni. Così un uomo era stato consacrato agli dei, lo si colpiva alla spalla con una spada da combattimento e si divinava il futuro a seconda delle convulsioni dell’agonizzante. Non si praticavano mai sacrifici senza l’assistenza dei druidi: così talora uccidevano le vittime a colpi di frecce, o le crocifiggevano neiloro templi o, ancora, fabbricavano un colosso di fieno e di legno, vi introducevano animali domestici e selvatici di ogni tipo assieme a degliuomini e vi appiccavano fuoco>>.

Ed ecco, infine, cosa dice Diodoro Siculo:

<<Essi sono -è una conseguenza della loro natura selvaggia- di un’ empietà mostruosa nei loro sacrifici. Così, tengono imprigionati i malfattori per un periodo di cinque anni e poi, in onore ai loro dei, li impalano e ne vanno
degli olocausti, aggiungendo ad essi molte altre offerte, su immense pire appositamente preparate. Trasformano anche i prigionieri di guerra in vittime per onorare i loro dei. Alcuni usano allo stesso modo anche gli
animali catturati in guerra. Li uccidono unitamente agli uomini o li bruciano, o li fanno perire con altri supplizi>>.

Il seguente schema può essere utile per classificare i vari tipi di sacrificio rituale in uso presso i Celti:

-INCRUENTO, ovvero a livello sacerdotale usando per uccidere gli elementidella natura, senza uso di armi. Abbiamo così le impiccagioni, lecrocefissioni, le immersioni, le cremazioni e le inumazioni.
-CRUENTO, ovvero uccisione con la spada, la lancia o qualsiasi altra arma.
-LIQUIDO O VEGETALE, tramite oblazione o libagione fino a far scoppiare lo
stomaco.

LA NECROPOLI DEI VENETI DI MEL, NEL BELLUNESE.

necropoli2L’area archeologica di Mel conserva i resti di una necropoli della cultura dei Veneti antichi. In questa zona sono state rinvenute circa 80 tombe e sette recinti funerari: di questi ultimi quattro sono visibili all’interno dell’area archeologica.

Gli scavi furono eseguiti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto fra il 1958 e il 1964.

Mel si trova al centro della Valbelluna, un’ampia vallata della provincia di Belluno corrispondente al tratto della valle del Piave compreso tra le prealpi Bellunesi da una parte e le Dolomiti meridionali dall’altra. Posto ad una altitudine di 351 metri, Mel si colloca in un territorio prevalentemente montuoso, con alcune zone collinari e semipianeggianti che sono state occupate dagli abitati. L’area archeologica oggetto di questa visita si trova 500 metri dal centro abitato in direzione Belluno, in area tendenzialmente pianeggiante.
I quattro recinti (in pianta: A, B, C, D), allineati da ovest a est, sono di forma circolare e hanno diametri compresi fra 2,25 e 4,20 metri. Sono delimitati da lastre di arenaria (misure minime e massime delle lastre, rispettivamente, 15 x 50 cm e 40 x 70 cm) infisse verticalmente nel terreno. L’ingresso, costituito da lastre/stipiti verticali e da una lastra/soglia, è sempre posizionato a sud. Tre dei recinti sono stati rinvenuti vuoti e questo consente di ipotizzare che la strutturazione della necropoli avvenisse prima dell’effettivo utilizzo delle tombe. I dati di scavo consentono di interpretare questi recinti come la struttura portante dei tumuli di terra che coprivano e proteggevano le tombe. All’interno dei recinti sono state rinvenute una o più tombe a cassetta, costituite da lastre in pietra locale accostate in forma di poliedro e contenenti un vaso-ossuario in ceramica o in bronzo. Il vaso ossuario conteneva i resti del defunto, precedentemente cremato su una pira, e gli oggetti di corredo, ornamenti e utensili esposti nel Museo Civico locale. I corredi tombali portati alla luce indicano che la necropoli di Mel è stata utilizzata in modo continuativo dall’VIII al V sec. a.C.

LE MONETE DEI VENETI DI VANNES CON IL CAVALLO, ANIMALE SACRO.

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Questa moneta che risale dal IV al I sec avanti Cristo , è una moneta Veneta. noterete subito il cavallo, simbolo dei nostri antenati. c’è un piccolo particolare che non quadra, però: questa moneta è stata trovata in Francia, nel nord ovest, nell’antica Armorica.

I Veneti in questione, che diedero il loro nome alla città di Vannes (similare a Vienna), sono classificati tenacemente come Galli, mentre anche questa testimonianza, ci attesta che la loro cultura era simile a quella dei Venetici. monete simili ne sono state trovate molte, sempre col cavallo da un lato, a volte ulteriormente divinizzato con un volto umano, e sono simili ad altre monete trovate nella zona nostra.

In realtà altri studiosi ritengono che la prima civilizzazione europea fu opera dei veneti, provenienti dalla zona del Baltico e poi emigrati in varie zone d’Europa, come attestano reperti archeo e nomi di località. una seconda ondata migratori, quella dei Celti, si sovrappose poi, spezzettando il continuum veneto antico europeo, in varie isole separate tra di loro. come appunto i Veneti di Asterix (,-) e i nostri antenati Venetici. un insediamento veneto (gli henetoi di Omero), arrivò persino sulla costa turca.

in questo link trovate gli esempi di monete venete dell’areale gallico e altre di monete venetiche. http://www.acsearch.info/search.html?search=veneti&view_mode=1&en=1&de=1&fr=1&it=1&es=1&ol=1&sort&c&a&l#13

LA STELE FUNERARIA VENETA DI CAMIN.. E I PRANZI DI OTTOBRE CON L’ANATRA

stele di Camin di Padova venetica.

stele di Camin di Padova venetica.

STELE DI CAMIN (PD) posta su una sepoltura, mostra una donna venetica, coperta dall’ampio scialle, che porge un’anitra al marito in veste di viandante che intraprende il viaggio per l’aldilà. L’anitra era raffigurata spesso, in quanto animale sacro, che univa l’acqua, la terra, il cielo, i tre elementi dell’universo.

Interessante la scritta: all’inizio o alla fine, a seconda che si incominci da un verso o l’altro, si leggono quattro lettere messe di seguito: R A K A che è il termine usato in slavo per quel volatile. Coincidenze? sarà, però lo stesso succede ad esempio col termine indicante “reumatismo” (ora non ricordo qual’è), trovato scritto in lamine votive, più volte, gettate come ex voto nelle acque termali di Lagole e di Abano.

L’anitra poi, ancora nel Veneto contadino di pochi anni fa, veniva uccisa e mangiata a ottobre, questo da tempo immemorabile, poiché era ingrassata e fatta crescere con le erbette che crescono sulla superficie dei fossi durante l’estate. A ottobre avvenivano i riti propiziatori dell’inizio dell’inverno. ne sono traccia le sagre che ancora oggi si tengono in quel mese. La Sagra di Noventa Padovana, borgo vicinissimo a Camin, si ricollega probabilmente a quei riti antichissimi.