I disastri e i crimini compiuti dalla Massoneria nell’Italia meridionale dopo la conquista del potere (1860)

Don Floriano Pellegrini
Garibaldi era un adepto di una loggia massonica inglese

Garibaldi era un adepto di una loggia massonica inglese

Si tratta di un’importante descrizione coeva dei fatti narrati, a firma del massone Pier Carlo Boggio. E’ tratta da: Angela Pellicciari, I panni sporchi dei Mille; Siena, Edizioni Cantagalli, 2011, pp. 189-200. Le notizie sull’autore sono tratte dalle pp. 145-146.
Nello scrivere il Boggio si rivolge a Garibaldi, altro massone, che si era autoproclamato dittatore assoluto al posto del re di Borbone e che come tale veniva riconosciuto, di fatto ma non ufficialmente (la solita falsità), dal Cavour e dal Savoia, massoni anch’essi.
Lo scritto, a leggerlo, fa persino male, perché documenta cose talmente criminali, e in così enorme quantità, che a stento non solo saremmo stati in grado di ammetterle, ma persino di immaginarle. Eppure sono cose certe, perché raccontate da una persona che, malgrado tali fatti, approvava l’invasione dell’Italia meridionale ad opera del regno di Sardegna. Continua a leggere

La migrazion dei Veneti in Brasil, contà da un de lori

Alberto Carnieto Jr.

righiesti dal Brasile per la loro fama di gente laboriosa, fondarono città partendo da semplici capanne.

richiesti dal Brasile per la loro fama di gente laboriosa, fondarono città partendo da semplici capanne.

La grande immigrazione veneta al Brasile è avvenuta tra il 1870 e 1920, ma anche dopo hanno continuato arrivano più immigrati di tutta la regione del Veneto. Localizzati, nella maggior parte nella regione sud del Brasile, e alcuni nello stato di San Paolo. La Regione Sud del Brasile (Rio grande do sul) concentra la cultura e tradizione veneta del 19. ° secolo tradizioni queste che non esistono più in Italia, soltanto nel sud del Brasile, così come se il tempo si fosse fermato e preservato costumi e lingua veneta Alla fine del 19° secolo e l’inizio del 20. I nostri nonni e antenati sono stati coraggiosi, veri pionieri e degli eroi, perché hanno plasmato l’interno del Brasile,; fondarono la città e hanno cercato di riprodurre l’ambiente della Terra Natale, tutto con molta difficoltà. Oggi, queste città sviluppate dai venetos qui in Brasile, sono luoghi ammirati, quanto per il turismo cheper lo sviluppo socio-economico. Continua a leggere

VENETI E FRIULANI IN ROMANIA UN’ EMIGRAZIONE DIMENTICATA

Risponde Sergio Romano

fotomostTempo fa mi recai in Romania come turista. A Tulcea mi imbarcai su un naviglio che faceva navigazione sul delta del Danubio. Sentendomi parlare con mia moglie in italiano, si avvicinò un signore che era trasmigrato dal Friuli nel 1925 e si era stabilito in quella zona come agricoltore. Mi raccontò che molti altri della sua zona emigrarono lì. Essendo lei di origini friulane, ne è a conoscenza? Mario Casolaro casomario@ alice.it

Caro Casolaro, Nel treno che mi riportava da Vienna a Milano durante la primavera del 1949 incontrai un folto gruppo di veneti e friulani (alcune decine di persone) che erano stati costretti a lasciare la Romania dove le loro famiglie avevano abitato sin dalla fine dell’ Ottocento. Mi spiegarono che con l’ avvento del regime comunista avevano perduto la terra, le aziende e il lavoro. Uno di essi mi fece vedere una copia di Scanteie (scintilla), quotidiano del partito comunista, e mi lesse alcuni titoli. Più tardi seppi che molti profughi furono accolti per qualche tempo in un campo della provincia di Udine. Ma non mi sembra che la stampa nazionale italiana, in quegli anni, abbia prestato una particolare attenzione a quelle vicende. Continua a leggere

AI POVERI PIU’ PANE A VITTORIO EMANUELE, PUTTANE. ABBASSO LA TASSA SUL MACINATO.

Il fisco protagonista dell’Italia unita
di Francesco Mario Agnoli – 08/01/2012

ACRITTO ANONIMO DELL'EPOCA

SCRITTO ANONIMO DELL’EPOCA

Fonte: Arianna Editrice
La prima carica dello Stato (on. Napolitano, presidente della Repubblica) ha la certezza che la crisi sarà superata dalla coesione del popolo italiano, ritrovata o rinvigorita dalle celebrazioni del 150° dell’Unità. Invece la seconda (on. Schifani, presidente del Senato) dubita della coesione per via dei sindacati, che non solo non si accodano a Mario Monti, ma fanno la guerra alla sua riforma “Salva Italia”. Forse Schifani non ha prestato la dovuta attenzione alle celebrazioni e, quindi, non ne ha colto i salvifici effetti.
Comunque sia, se, invece di dedicarsi al restauro di miti obsoleti, avesse dato spazio anche alle pagine oscure dell’Unità, il 150° avrebbe potuto darci non pochi insegnamenti, per esempio aiutandoci ad individuare il filo rosso che fin dal principio unisce i vari periodi della nostra storia unitaria: il torchio fiscale e la corruzione. Dato che in questo momento l’attenzione è concentrata sul prelievo fiscale (la corruzione è sempre all’ordine del giorno e si potrà trattarne un’altra volta) il Comitato dei Garanti delle celebrazioni avrebbe potuto utilmente riesumare le vicende che portarono all’elaborazione e all’applicazione della famosa tassa sul macinato e le reazioni popolari che ne seguirono sopratutto in Padania (in molti altri luoghi si ricorse al più semplice rimedio di non pagarla e di non riscuoterla). Gli italiani avrebbero così ricordato o scoperto che, per effetto dei debiti ereditati dal Piemonte sabaudo, già a fine 1865, a pochissimi anni dalla parziale unificazione (mancavano ancora Roma e il Veneto), il bilancio del nuovo Regno versava in gravissime condizioni per il continuo aumento del deficit, e che l’allora presidente del Consiglio, l’ingegnere piemontese Quintino Sella (un tecnico prestato alla politica), il 13 dicembre di quello stesso anno presentò un progetto di legge per l’introduzione di un’imposta sulla macinazione dei cereali. ..
segue al link : http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=41859

IL TRENO DELLA VERGOGNA: GLI ISTROVENETI PRESI A SASSI E SPUTI DAI “COMPAGNI” ITALIANI.

Guido Marchesin

12347892_416006058598273_1045173063739494074_nUna pagina oscurata che , come tante altre ,come troppe altre , non viene raccontata nei libri di storia :
il treno della vergogna.

La domenica del 16 febbraio 1947 da Pola partirono per mare diversi convogli di esuli italiani con i loro ultimi beni e, solitamente, un tricolore. I convogli erano diretti ad Ancona dove gli esuli vennero accolti dall’esercito a proteggerli da connazionali, militanti di sinistra, che non mostrarono alcun gesto di solidarietà[1]. Ad accogliere benevolmente gli esuli ci furono tre uomini, dei quali due con la fisarmonica, che cominciarono a cantare vecchie canzoni istriane: questi erano esuli precedentemente sbarcati e che avevano combattuto nella resistenza italiana. Continua a leggere

PLEBISCITI: quasi nessuno, che rimpiangesse i vecchi governanti. Ecco invece la verità.

Angela Pellicciari

hqdefaultIn alcuni collegi, questa introduzione in massa, nelle urne, degli assenti – chiamavano ciò completare la votazione – si fece con sì poco riguardo che lo spoglio dello scrutinio dette un numero maggiore di votanti che di elettori iscritti”. (Filppo Curletti, stretto collaboratore di Cavour, nel suo Memoriale, cit. in Angela Pellicciari, I panni sporchi dei mille, liberal edizioni, Roma 2003, p. 29).

A cose fatte, a conquista avvenuta, si trattava di mostrare urbi et orbi quanto felici fossero gli italiani del nuovo stato di cose. A questo scopo i padri della patria hanno fatto ricorso ai plebisciti. Hanno cioè chiamato tutta la popolazione a votare (cosa inaudita in un’epoca in cui aveva diritto di voto meno del 2% degli abitanti) perché tutti, ma proprio tutti, avessero modo di manifestare in modo democratico, e cioè col voto, il proprio entusiasmo unitario. Continua a leggere

NASCE LA CASTA. IL SACCHEGGIO DELLA TOSCANA. LA MALA UNITA’

da Veja .it

vessillo del Granducato Toscano

vessillo del Granducato Toscano

«Liberata» la Toscana con «spontanea insurrezione», i massoni locali in attesa delle truppe savoiarde instaurano un governo provvisorio, una dittatura «popolare». La presiede il barone Bettino Ricasoli fiorentino. Cavour stesso dirà di lui al re Vittorio Emanuele: Ricasoli «governava la Toscana come un pascià turco, non badando né a leggi né a legalità.» Brofferio precisa: «I conti del governo toscano (appena abbattuto) prevedevano per il 1859 un avanzo di 85 mila. Nelle casse c’erano 6 milioni in contanti. Il nuovo governo chiudeva il 1859 con un disavanzo di 14 milioni e 168 mila». In meno di un anno, dilapidato oltre il doppio di quel che il dittatore trovò in cassa. Come?

Ancora Brofferio: «Il pubblico erario era dilapidato per saziare l’ingordigia dei nuovi favoriti; lussi di sbirri e di spie all’infinito; espulsioni, arresti, perquisizioni; la guardia nazionale ordinata a servizio di polizia e non a difesa nazionale. Nessuna libertà di persona, di domicilio, di stampa; ogni associazione vietata; uomini senza fede e senza carattere onorati…».

L’URLO DI DOLORE DEL VENETO INASCOLTATO.. NEL 1919

Milo Boz Veneto
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profughi dopo la rotta a Caporetto

Un Veneto distrutto, dalla guerra e dallo stazionamento della truppa italiana che devastava quanto era rimasto (ben poco) sul territorio, nell’immediato dopoguerra invece di essere ascoltato a Roma, suscitò l’ira dell’Alfano dell’epoca il quale minacciò di sospendere i pochi aiuti, se continuavano i lamenti. Dichiarò alla stampa: ” Non c’è nel Veneto nessuno speciale problema politico più grave e più minaccioso di quelli che incombono sulle altre regioni italiane: le voci di insurrezioni, di ribellioni, e di separatismi sono chiacchere senza fondamento”. Ecco invece quanto scriveva ‘IL RISORGIMENTO’ il 21 ottobre 1920: “Quando nel novembre del ’18 il nostro esercito iniziò e compì felicemente la liberazione del Paese (sic), il governo – assolutamente impreparato all’evento emanò una serie di provvedimenti inorganici, intempestivi e per la maggior parte inadatti, insufficienti o dannosi; e mentre questo avveniva, i reparti delle nostre truppe, privi di ripari e anche delle minime comodità, aggiunsero nuovi danni a quelli causati dal nemico, senza che l’autorità provvedesse a far sorvegliare i beni dei privati (fuggiti per l’avanzamento del fronte)”.

Insomma, un disastro totale, un disastro che continua ancor oggi, senza soluzione di continuità, tranne poche pause effimere, in cui la laboriosità di un popolo riprende ogni volta a ricostruire e ogni volta viene buttato a terra, come oggi. Ma la pazienza dei veneti è giunta al limite, ormai.

sunto dal libro di Bruno Pederoda, TRA LE MACERIE E MISERIE DI UNA REGIONE DIMENTICATA.

MARIA SOFIA D’AUSTRIA, L’ULTIMA REGINA: L’ALTRA STORIA – i prigionieri italiani.

Immagine 194Maria Sofia (chiamata affettuosamente “Spatz”, cioè passerotto), nacque nel 1841 a Possenhofen (Baviera) da Massimo, duca di Baviera, e da Ludovica di Wittelsbach. Era la quinta di nove figli. Tra le sue sorelle la più nota sarà Elisabetta (“Sissi”), Sissi che si sposò nel 1854 con il ventiquattrenne Francesco Giuseppe, Imperatore
MARIA SOFIA D’AUSTRIA, l’altra storia.
Una vecchia nobildonna si aggirava nei campi di prigionia italiani durante la prima guerra mondiale, portando soccorso ai soldati meridionali. pochi sapevano chi era, ma fino al 1861 era la loro regina amatissima.

Maria Sofia trascorse la giovinezza in Baviera; dal padre aveva ereditato l’amore per la natura, per la caccia, per i cavalli, i cani e i pappagalli. Era di carattere aperto, pronta a familiarizzare con le persone più umili, indipendente e anticonformista amava l¹equitazione, il tabacco, la fotografia. Nel 1858, a 17 anni, fu promessa a Francesco di Borbone, duca di Calabria ed erede al trono delle Due Sicilie. Il matrimonio doveva rafforzare i legami con l¹impero austriaco. Maria Sofia non conosceva Francesco di persona, aveva avuto solo l’opportunità di vederlo raffigurato in una sua miniatura nella quale appariva d’aspetto gradevole. Dopo la cerimonia di fidanzamento, avvenuta il 22 dicembre 1858, venne celebrato il matrimonio per procura la sera dell’8 gennaio 1859. Continua a leggere

Il massacro dimenticato di Pontelandolfo 14 agosto 1861

Articolo di Paolo Rumiz, da leggere D'UN FIATO:

DIECI FUCILATI PER OGNI SOLDATO MORTO, COME I NAZISTI.

Il 14 agosto 1861 per vendicare i loro quaranta morti i soldati sabaudi uccisero 400 inermi. Un eccidio come quello delle Fosse Ardeatine. Il sindaco oggi si batte perché alla città sia riconosciuto lo status di “martire”. E promette: se l’esercito chiede scusa, invitiamo la loro fanfara a suonare come atto di riconciliazione.

band09“Al mattino del giorno 14 ricevemmo l’ordine di entrare nel paese, fucilare gli abitanti, meno i figli, le donne e gli infermi, e incendiarlo. Subito abbiamo cominciato a fucilare… quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato l’incendio al paese, di circa 4.500 abitanti. Quale desolazione… non si poteva stare d’intorno per il gran calore; e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case. Noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava”. Continua a leggere